UN DIBATTITO ANCORA ATTUALE?
Fin dalla sua nascita la fotografia ha sollevato un ampio dibattito sul suo ruolo nel panorama artistico. Numerosi studiosi pensavano che essa dovesse essere subordinata alle arti, dando per scontato che fosse esclusa da questa categoria. A metà Ottocento, il poeta e critico d’arte Charles Baudelaire sosteneva che dovesse “tornare al suo compito genuino, essere l’ancella delle scienze e delle arti”. Mezzo decennio dopo, Il filosofo e critico letterario Walter Benjamin la vedeva, assieme alle altre tecniche basate sulla riproducibilità tecnica caratteristiche di quella da lui chiamata l’epoca delle masse, come la causa della scomparsa dell’aura delle opere d’arte. Nelle opere più tardive, però, è passato a considerare il suo avvento un processo non solo inevitabile, ma anche largamente positivo in quanto ha messo fine ad una concezione aristocratica dell’arte rendendola accessibile alla moltitudine. Effettivamente, fin dalla sua nascita, la fotografia ha permesso di rendere le cose spazialmente e umanamente più vicine, rispondendo all’esigenza di impossessarsi degli oggetti da distanze ravvicinate. Non solo, grazie alla sua “potenzialità rivelatrice”, ha consentito di mostrare realtà nascoste, come ha osservato nel secolo successivo la studiosa statunitense Susan Sontag, raccontando di come il celebre fotografo Alfred Stieglitz “rimanesse paziente in attesa del momento di equilibrio”.
È POSSIBILE CLASSIFICARE LA FOTOGRAFIA?
Nel corso del tempo ci sono stati numerosi tentativi di definire e classificare la fotografia. Ad inizio Novecento venne stabilita una normativa per la sua “valutazione”. Questa richiedeva che la fotografia presentasse delle caratteristiche ben definite tra cui un’illuminazione impeccabile, un soggetto ben chiaro e una precisa messa a fuoco, ed inoltre dimostrasse un’abilità compositiva e una perfetta qualità della stampa. In seguito questa posizione è stata superata e la foto è stata liberata dai criteri della perfezione tecnica: la fotografia è stata definita ed interpretata come arte e il fotografo è divenuto un “autore”.
La questione se la fotografia sia o meno considerabile un’arte, che negli anni ha sollevato molteplici e svariate discussioni, si fonda su un altro dibattito, ancor più controverso, che richiederebbe ulteriori riflessioni: qual è il confine per stabilire se un’opera sia artistica o meno?
Lo studioso contemporaneo Claudio Marra, che nei suoi studi si è concentrato sulla fotografia in rapporto all’estetica e alle arti visive, rileva la difficoltà di accettare un’identità estetica della foto nei casi in cui questa non presenti le caratteristiche tradizionali dell’opera. L’unico destino possibile per la fotografia, secondo il suo parere, sarebbe quella da lui definita “una ineludibile biforcazione”: o arte simile al quadro o documentazione.
E LA FOTOGRAFIA COMMERCIALE, ALLORA?
Per venire a capo della faccenda possiamo cercare una definizione accettabile e condivisa della parola “arte”, affermando che l’arte è l’operazione che permette di creare qualcosa dal nulla, esprimendo se stessi, un proprio pensiero o una propria visione, riuscendo a coinvolgere l’osservatore. Alcuni artisti esprimono quel che sentono, altri descrivono o interpretano ciò che vedono, altri ancora riflettono sul momento storico in cui vivono. Un tratto comune a tutti è l’esigenza di condividere il proprio essere. Ci sono artisti che creano per loro stessi ed espongono le loro opere nei musei o nelle gallerie d’arte, altri che lavorano per dei committenti che pagano le opere richieste. Sono pochi, in ogni caso, quelli che non sperano di vendere i loro lavori.
Soffermiamoci ora su un artista specifico: il fotografo. Egli desidera fissare nel tempo un istante, catturandolo con il suo obiettivo, per riviverlo o farlo rivivere all’osservatore. Anche il suo scopo è quindi quello di condividere qualcosa, trasmettendo ciò che ha visto, nel modo in cui lo ha personalmente percepito.
E il fotografo commerciale? Quest’ultimo viene contattato da un committente (generalmente un’azienda) che gli richiede delle fotografie per riuscire a vendere un prodotto. Egli quindi racconta qualcosa che non è stato creato da lui e viene pagato per questo lavoro. Quel che esprime, però, è sempre e comunque il suo essere, pur focalizzandosi su un prodotto realizzato da altri. Ad essere richiesto è il suo personale modo di raccontare quell’oggetto, rappresentandolo in un certo modo o inserendolo in un determinato ambiente. È il professionista che sceglie il punto di vista e il contesto, che studia come avvalersi della luce e del colore, per colpire, emozionare, sollecitare la memoria, accendere desideri, far sognare. Se chiedessimo a dieci fotografi commerciali di rappresentare lo stesso prodotto con lo scopo di venderlo, otterremmo dieci risultati diversi. Questo perché il lavoro, commissionato o meno, è sempre personale e unico, risultato dell’esperienza, del talento e della passione.
“COMMERCIALE, PIÙ COMMERCIALE, TROPPO COMMERCIALE”
Uno dei motivi che rende meno “pura” agli occhi di molti l’arte della fotografia commerciale è proprio la sua finalità commerciale. Il fatto che favorisca la vendita di prodotti realizzati da altri peggiora la situazione. Bisogna riconoscere, però, che la maggior parte degli artisti (siano essi musicisti, pittori o fotografi), oltre a condividere il proprio sentire, spera che qualcuno compri le opere prodotte e ne commissioni delle altre. Questo non pregiudica il loro essere artisti. E nemmeno il fatto che vengano realizzati dei multipli numerati per accrescerne il valore. A volte si definisce un artista “troppo commerciale” quando nel suo lavoro la volontà di vendere supera il bisogno di creare e di condividere. Ma è molto difficile, oltre che rischioso, stabilire l’altezza dell’asticella di “commerciale”, “più commerciale”, “meno commerciale”. Non conviene forse limitarsi a osservare?
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